Il caso Patagonia: quando la sostenibilità non è solo un racconto

Una leggenda diffusa nell’isola di Chiloé, porta d’accesso alla Patagonia cilena, ha come protagonista una giovane donna dalla bellezza inenarrabile: la Pincoja. La credenza narra che questa donna abbandoni gli abissi dell’oceano fluttuando tra le onde e ballando sulla spiaggia, con il compito di fecondare i pesci e determinare le fortune dei pescherecci. Se la Pincoja balla con lo sguardo rivolto verso il mare, è segno di buon auspicio.

Lo stesso sguardo di speranza e l’intatta bellezza di una terra leggendaria come la Patagonia ispirano l’omonimo brand fondato nel 1942 per mano di Ivon Chouinard.

Patagonia infatti, sulla scia di quella danza rivolta al mare della Pincoja, nasce con un buon auspicio: “Realizzare il prodotto migliore, non provocare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni per la crisi ambientale”.

La questione ambientale è il più grande cavallo di battaglia del brand. Con l’intento di creare sempre il miglior prodotto in termini di funzionalità, riparabilità e durabilità, Chouinard ha da sempre improntato il marchio verso pratiche sostenibili e una migliore gestione delle risorse naturali. Dando vita ad un approccio “circolare”, Patagonia dal 1993 produce poliestere riciclato, permettendo di essere meno dipendenti dal petrolio. L’attenzione del brand si è riversata anche sulla plastica delle bottiglie, utilizzata per creare tessuti.

Col giusto tocco di provocazione, il marchio ha toccato anche le corde del consumismo. Nel 2011, col rischio di creare un vero e proprio boomerang nel suo mercato, Patagonia ha lanciato la campagna “Don’t buy this jacket”. Con essa ha incoraggiato i consumatori a non acquistare i propri prodotti, in particolare la Pile Fleece Jacket, elencando i costi ambientali necessari per la produzione.

Nell’eterna coscienza della propria imprevedibilità, nel settembre del 2022 Ivon Chouinard ha deciso di compiere un gesto tanto rivoluzionario quanto filantropico: cedere il 98% delle sue quote alla società no profit Holdfast Collective e mantenere solo il 2% nella forma di Patagonia Purpose Trust, devolvendo l’1% di ogni vendita per la salvaguardia del pianeta. Il motto, unico ed eloquente, resta "Il nostro unico azionista ora è il pianeta”.

Ad oggi Patagonia è l’azienda con la migliore reputazione in America, collocandosi al primo posto nella storica classifica Axios Harris Pool 100. È interessante notare come il suo successo sia trasversale: il brand è apprezzato sia dai democratici, storicamente più sensibili alla crisi climatica, che dai repubblicani. Merito di tale status è l’approccio visionario che vede Patagonia essere, dal punto di vista culturale, non più un brand di nicchia ma un marchio interclassista ed intergenerazionale.

Patagonia è stata in grado di costruire solidamente la sua vocazione ambientalista, creando clienti attenti all’impatto delle proprie azioni e interessati non solo alle caratteristiche dei prodotti ma anche ai propri valori. Patagonia è il caso in cui la sostenibilità non è solo un racconto, è uno stile di vita.

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