What a fantastic Roman night!
Quello che secondo Stanley Kubrick sarebbe stato il miglior film mai realizzato è un progetto destinato a restare incompiuto. È un film sulla vita di Napoleone, ossessione del regista statunitense naturalizzato britannico. In Hello You, Alex Turner cita questo progetto cinematografico, immaginando che venga portato a termine: per gli Arctic Monkeys non c’è nulla che possa essere lasciato incompiuto.

Se il loro ritorno in Italia era tanto atteso, la data romana del tour “The Car” è stata un trionfo. Con un sold out raggiunto poche ore dopo l’inizio della vendita dei biglietti e con un pubblico triplicato rispetto alla loro ultima apparizione in Italia nel 2018, la band britannica si è consacrata, trovando se stessa, in quel processo di maturazione artistica da sempre perseguito in cui la sfrontatezza degli esordi con Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not si è tramutata in eleganza senza mai perdersi.

L’apertura dello show è stata affidata al cantautore inglese Willie J Healey e agli svedesi The Hives. Nessuna presentazione e nessun colpo di scena ma solo il preludio di quello sarebbe accaduto: gli Arctic Monkeys sono comparsi sul palco puntuali sui colpi dei bassi di Scultures of Anything Goes, ipnotizzando tutti. La scaletta dello show è un salto nel passato, un salto apparente perché la scelta è ricaduta su brani che non sono mai passati di moda, con un dominio totale degli album AM, a dieci anni dalla sua pubblicazione, e Favourite Worst Nightmare: Brainstorm, Snap Out Of It, Teddy Picker, Why’d You Only Call Me When You’re High?, Arabella, Fluorescent Adolescent, Do Me a Favour, 505, Do I Wanna Know?, I Wanna Be Yours e R U Mine?. Spazio anche per Crying Lightning, Four Out of Five, I Bet You Look Good On The Dancefloor, Don’t Sit Down ‘Cause I’ve Moved Your Chair, The View From The Afternoon e Cornerstone. Quattro i brani estratti da The Car: oltre al pezzo di apertura, There’d Better Be a Mirrorball, Perfect Sense e Body Paint. Il lunghissimo outro di quest’ultimo è stato uno dei momenti più alti dell’esibizione. Ammaliare il pubblico può essere semplice, coinvolgerlo emotivamente a tal punto da vedere pochissimi smartphone rivolti al palco è da pochi.

Negli anni gli Arctic Monkeys sono cresciuti e sono maturati, riuscendo in due grandi imprese. La prima è stata quella di non deludere le aspettative e cercare di migliorarsi dopo la pubblicazione di AM, capolavoro della loro discografia. La seconda è stata quella di saper abbracciare un pubblico variegato, composto non solo da fan adulti e di vecchia data ma anche dalla nuovissima generazione. Il merito? La band ha avuto il coraggio di sperimentare senza mai perdere l’identità di quei ragazzi che fondarono il gruppo in un garage a Sheffield nel 2002. Sperimentare è facile se il tuo leader, Alex Turner, dà la sensazione di poter salire sul palco e fare quello che vuole. Nessun eccesso e nessun gesto eccentrico. Elegante e delicato, interpreta i brani rendendoli suoi più di chiunque altro. È un crooner: gli occhi sono su di lui. È inevitabile con quel carisma ma lo è anche grazie alla bravura degli altri membri della band. Matt Helders alla batteria, Jamie Cook alla chitarra e Nick ‘O Malley al basso sono altrettanto protagonisti dello show e di questo lungo percorso.

Come detto in precedenza, sembra esserci poco di The Car in scaletta ma tale assenza si riduce ad un solo aspetto quantitativo a livello di brani. The Car, perfetta evoluzione della precisa idea orchestrale di Tranquillity Base Hotel & Casino, è la cornice di questo show. Lo si può ammirare nell’attitude della band e nel minimalismo dello stage design: luci soffuse, una mirrorball ed un cerchio di luce in cui vengono proiettate le immagini dei membri del gruppo.

Ci sono progetti destinati a restare incompiuti, come quello di Kubrick e il suo film su Napoleone. Ci sono progetti destinati ad essere completati per poi essere continuamente perfezionati. È il caso degli Arctic Monkeys e del loro ricercato processo di continua evoluzione che li ha portati a garantirsi lo status di band intergenerazionale. Con coerenza, hanno saldato la fedeltà con primi fans; con ricercatezza hanno attratto un pubblico più giovane. Gli Arctic Monkeys sono già un classico. “What a fantastic Roman night!” Lo hanno pensato tutti, ma a dirlo è stato Alex Turner mentre si accomodava al pianoforte. Aveva ragione.
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